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MONSTER'S BALL-L'OMBRA DELLA VITA
(MONSTER'S BALL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 25 aprile 2002
 
di Marc Forster, con Billy Bob Thornton, Halle Berry, Heath Ledger, Peter Boyle (Stati Uniti, 2001)
 
Dell'incoerenza. Per i più frettolosi, infatti, diciamo che MONSTER'S BALL-L'OMBRA DELLA VITA è una prison-movie alla quale si somma una love-story. E tanto vale aggiungere, allora, che di questo film magnanimamente decorato con l'Orso d'argento a Berlino e pure con l'Oscar per l'interpretazione femminile a Halle Berry, le qualità sicure e rallegranti della prima poco hanno di che spartire con l'ammoscio della seconda.

Le certezze riguardano questo Marc Forster, che ci sa fare: grigionese emigrato ad Hollywood da una decina d'anni, pare dopo essere stato ignorato anche dal festival di Soletta. Che, nel primo terzo del film, illustra con piglio agghiacciante vita e deriva dell'agente carcerario Hank (Billy Bob Thornton, al solito ispirato), responsabile apparentemente lobotomizzato dell'uso della graticola alla quale in Georgia si continua ad affidare il senso della giustizia. Dall'esecuzione del solito nero, dopo i soliti undici anni di tribolazioni nell'anticamera della morte ad un'altra morte violenta che finirà per lasciarlo meno indifferente. Il suicidio del figlio, secondino debuttante, comprensibilmente traumatizzato dalla carriera impostagli dalla tradizione familiare.

Gelido spaccato di una violenza quotidiana, di un razzismo tramandato di padre in figlio come una rassegnata evidenza. Che Forster presenta con taglio secco, allusivo ed essenziale, in un sud dal calore livido, dalle psicologie stagliate con concisione esemplare, lo squarcio delle illuminazioni verdognole che ci evitano le sfumature di comodo dei rifugi nel pastello. Non servono le gamme dei grigi, le mezze tinte, le vie di mezzo: ma il nero più cupo accostato all'angoscia abbagliante del bianco per descrivere l'abominio della pena di morte. E, di riflesso, di coloro che la applicano.

Ma MONSTER'S BALL non era probabilmente destinato ad essere "soltanto" un ammirevole manifesto d'impegno civile (l'hanno subito compreso i distributori locali, aggiungendogli quel L'OMBRA DELLA VITA vanesio…), non uno squarcio di cinema determinato: ma un melodramma, destinato eventualmente a quegli allori che difatti gli sono giunti puntuali. Ed ecco allora che, appena dimessosi dal penitenziario, Hank inciampa nella più gradevole delle vicissitudini altrimenti sfigate che gli hanno riservato gli autori di una sceneggiatura che si fa desolante. Incontra Leticia, che non è soltanto camerierina black in un motel eternamente semivuoto (dove non si capisce esattamente cosa ci stia a fare, visto il fisico notoriamente da topmodel che si ritrova): ma pure la moglie dell'ultimo dei poveretti suppliziati da Hank. Afflitta da una serie di disgrazie che sarebbe impietoso elencare.

Supplizio diventa allora quello inflitto allo spettatore: costretto dagli sceneggiatori di cui sopra ad accettare il fatto che, nel giro di un paio di sequenze, la spietata abulia di Hank il giustiziere si trasformi nell'ecumenica, incrollabile bontà d'animo di Hank l'innamorato (di una super appetibile e politicamente corretta non proprio scura). Errore, calcolo o mistero di un marketing strumentalizzato per condurre a due chiacchierate sequenze di sesso relativamente (per i costumi USA) osé? Il fatto è che la ballata dei mostri, forse voluta dal nostro bravo Forster da incisiva pittura di costume ed ambiente si fa telenovela incerta e finalizzata di buoni, e forse pure furbi sentimenti.


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